A chi non è mai capitato di usare questa espressione: “Che bello, ora sì che mi sento a casa!”?
La casa è l’esperienza del riparo degli affetti, della certezza di sentirsi voluti bene e accettati per quello che si è. La casa non è solo un luogo fisico. É casa il cuore delle persone nelle quali si abita. A casa si torna sempre volentieri (salvo situazioni difficili).
In questi giorni di post-lockdown il tema della casa diviene particolarmente significativo. A casa si litiga anche, é vero, ma forse accade – oltre che per la stretta vicinanza – perché con chi si vive ci si può permettere di indossare meno scudi protettivi e meno maschere.
Purtroppo nella casa accadono anche dei drammi, a volte, molto difficili da gestire, ma ciò non toglie che ciascuno di noi sappia cosa si intende con l’espressione “sentirsi a casa” perché in qualche modo ne ha fatto esperienza o ne sente il desiderio.
Durante l’ultima cena, in un lungo discorso riportato dall’evangelista Giovanni (in questa domenica solo Gv 14, 1-12), il Signore sembra proprio accennare a questa esperienza: il dimorare a casa. Egli promette ai suoi di preparare molte dimore, monái, nella casa del Padre. Il verbo ménô, da cui deriva il sostantivo “dimora” usato da Gesù, indica proprio il rimanere. E solo dove ci si trova a casa si desidera rimanere.
Ecco, il Signore, proprio poco prima di essere tradito, rinnegato, condannato e ucciso, promette ai suoi amici di andare a preparare un posto nel quale si potrà e si vorrà rimanere per sempre.
La domanda di Tommaso («come possiamo conoscere la via?») e la richiesta di Filippo («Signore, mostraci il Padre e ci basta») provano la “pazienza” di Gesù, ma gli offrono ancora una volta l’occasione di chiarire in modo certo come sia possibile raggiungere le dimore nella casa del Padre e poter partecipare della stessa comunione tra il Figlio e il Padre.
«Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. Se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto». Cristo è la strada che porta al Padre, Cristo è la verità che rivela il volto del Padre, Cristo è la vita di comunione che ogni cuore attende.
Tuttavia i discepoli fanno ancora molta fatica a cogliere le parole del maestro e pure noi siamo spesso reticenti. C’è qualcosa che non quadra. Se bastasse dirsi cristiani per vivere la beatitudine promessa da Cristo sarebbe un gioco da ragazzi e ci risolverebbe i tanti crucci che la vita ci pone innanzi. Ma proprio questo è il punto. Seguire la via tracciata da Cristo, significa seguire il suo intinerario verso Gerusalemme, verso il Calvario, proprio lì dove nessuno vorrebbe passare. Eppure Gesù, vero Dio e vero uomo, non ha esitato ed è andato fino in fondo. Ha accettato l’ignominia e la dura sorte della croce. Non si è tirato indietro.
E’ possibile conoscere il Padre in modo “sponsale”, cioè in modo intimo, e abitare in lui se e solo se si passa attraverso Cristo…la porta che abbiamo visto domenica scorsa. Seguire Cristo significa, allora, accettare la propria croce, la propria storia, e glorificarla.
«Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me» ci dice il Signore poco prima di morire. Ogni sconvolgimento interiore, ogni spaccatura e ferita del cuore trovano ristoro e vera quiete nella fiducia in Cristo. Lui ha vinto il mondo, la morte, ogni nostra morte e ogni nostro dolore. Ma ci è passato dentro per poterlo riempire di luce e per offrirci la possibilità di avere una “casa” nella quale dimorare.
Non solo. Egli ci ha donato lo Spirito Santo per poter dimorare a sua volta in noi stessi. Ma questo è un altro capitolo della storia…

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