Nei giorni del Triduo Santo può esserci utile farci aiutare dall’esperienza di Teresa d’Avila che, mentre viveva un tempo di tiepidezza spirituale e di “schiavitù” – come la definisce lei stessa – , un giorno trova una statua di Cristo flagellato e presentato alla folla da Pilato (l'”Ecce Homo”). Così descrive il suo incontro:
Ormai la mia anima si sentiva stanca e voleva riposare, ma le sue
perverse abitudini glielo impedivano.
Entrando un giorno in oratorio i miei occhi caddero su una statua che
vi era stata messa, in attesa di una solennità che si doveva celebrare in
monastero, e per la quale era stata procurata. Raffigurava nostro Signore
coperto di piaghe, tanto devota che nel vederla mi sentii tutta commuovere perché rappresentava al vivo quanto Egli aveva sofferto per noi ebbi tal dolore al pensiero dell’ingratitudine con cui rispondevo a quelle piaghe, che parve mi si spezzasse il cuore. Mi gettai ai suoi piedi in un profluvio di lacrime, supplicandolo a darmi forza per non offenderlo più. (Vita 9.1)
Forse quella statua Teresa l’aveva già vista altre volte, eppure solo ora vive l’esperienza intima del vero significato del sacrificio di Cristo. Solo ora lei comprende veramente, fino alle lacrime, che Cristo aveva sofferto così per lei.
Chissà quante volte abbiamo vissuto il Triduo Santo con devozione, ma pacato distacco e con una visione molto generica dell’estremo atto d’amore con cui Cristo si è immolato per liberarci dalla schiavitù del peccato e della morte. Cosa accade, invece, quando si vive come Teresa l’esperienza di sentirsi chiamati in causa in prima persona proprio dentro quel sacrificio?
Cristo è morto per me, a causa del mio peccato, della mia infedeltà all’amore, per il mio egoismo, il mio credermi padrone assoluto della mia vita. Cristo è stato flagellato da tutte le volte che gli ho voltato la faccia e il cuore girando le spalle a chi ho incontrato nel mio cammino. Le sue piaghe sono le ferite che ho provocato nelle persone verso le quali ho manifestato rancore e insensibilità. Il suo costato è stato trafitto anche dal tradimento della fiducia che mi era stata data, dalle mie tante incoerenze, dalla paura che non mi ha permesso di stare nella verità trasparente o dalla pigrizia verso ogni forma di uscita da me stesso verso gli altri.
Guardare il Crocifisso non deve costituire un atto di accusa verso le nostre incongruenze e debolezze, ma deve essere la contemplazione vera e profonda dell’enorme misericordia che Lui ha verso di noi. Le lacrime di Teresa non sono frutto di disperazione ma di consapevolezza intima del vero amore con cui era guardata e continuamente salvata, giorno dopo giorno.
Quando si sperimenta questa misericordia cambia totalmente il proprio modo si pregare e di vivere il Triduo Pasquale. La Pasqua diviene un vero passaggio dalla morte interiore causata dal proprio peccato e si accede alla vita eterna illuminata dalla Grazia di Dio. Lui è più grande del nostro peccato e ci rende creature nuove.
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