Il Vangelo di oggi vuole renderci interiormente più liberi.
Liberi dall’ansia di essere riconosciuti, di essere qualcosa per qualcuno, di dimostrare di avere qualche valore. Liberi dall’angoscia di non contare nulla.
Se riconosciamo in noi queste sottili “angosce” o paure, possiamo oggi lasciarle andare, respiro dopo respiro, nella nostra preghiera, per lasciar entrare in noi il soffio di Dio. Agli occhi di Dio noi siamo suoi amici. Abbiamo una dignità sostanziale, che non dipende dallo sguardo che gli altri hanno su di noi, o dallo sguardo che noi abbiamo di noi stessi (spesso, haimè, distorto in difetto o in eccesso!). Siamo suoi amici, ovvero siamo preziosi ai suoi occhi: questo è il nostro valore. Così come siamo, siamo preziosi.
Questa è la vera umiltà: riconoscerci senza paura così come siamo, riconciliati con il fatto che abbiamo lati buoni e luminosi e lati più fragili, dei limiti che ci fanno bisognosi di accoglienza e amore. Con questa consapevolezza sapremo che gli altri, oppure i ruoli o le varie posizioni sociali, non ci possono nè aggiungere nè togliere valore. E potremo stare con pace interiore nell’amicizia di Dio.
Soprattutto, saremo più liberi per poter accogliere in modo altrettanto incondizionato e gratuito la realtà dell’altro. Anch’essa al contempo bella e luminosa, e un po’ povera, storpia o zoppa o cieca. Non dovremo costantemente mendicare un po’ di riconoscimento, ma potremo metterci a servizio della fame dell’altro. Sfamare, e non solo essere affamati. Servire, e non solo essere serviti. Scegliendo in noi stessi di compiere questo cambio di prospettiva, arriviamo a vivere la nostra vita come un banchetto di nozze, in una relazione sponsale con la realtà così com’è, a cui ci uniamo in uno scambio di amore donato e ricevuto. Questa unione, nel bene e nel male, fedele e stabile, ci dona senso e gioia che nessuna situazione esterna, più o meno propizia, potrà alterare, anzi, semmai rafforzerà.
Una parola chiave per capire il passo interiore che il Signore ci vuole far compiere, la troviamo nella prima lettura di oggi, ed è la parola mitezza. La mitezza non indica tanto una gentilezza o un comportamento esteriore di educazione, quanto un atteggiamento e una pacificazione interiore. Una libertà interiore che lascia all’altro di essere quello che è.
Per poter accogliere e “fare pace” con quello che siamo e con quello che sono gli altri, guardiamo allora a Cristo, ripetiamo le sue parole e lasciamo che lentamente Egli compia la sua opera nel nostro cuore: “imparate da me, che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29).
Suor Marta del Verbo di Dio
(Suore carmelitane di S. Teresa di Firenze)
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