Il monte è il luogo decisivo delle letture di questa domenica ed è il luogo privilegiato da Dio per rivelarsi all’uomo.
Abramo è alle prese con la richiesta di sacrificare il proprio figlio, il garante della sua discendenza, cui segue l’intervento provvidente di Dio che ferma la mano di Abramo contro il figlio(Gen 22,1-2.9a.10-13.15-18); mentre Pietro, Giacomo e Giovanni salgono su di un alto monte per stare di fronte al mistero della venuta di Cristo, il Messia (Mc 9,2-10).
In entrambi i casi notiamo un cambiamento di prospettiva. Abramo deve liberarsi da ogni sentimento di possesso sul dono ricevuto da Dio e riconoscere che nulla può essere anteposto al suo progetto d’amore per l’uomo. Mentre Pietro, Giacomo e Giovanni sono scelti per essere testimoni della natura divinoumana di Cristo. Gustano la bellezza della vita eterna, senza ombre, portata da Cristo, che si offrirà volontariamente come vittima per portare a compimento il disegno d’amore del Padre e riscattare l’uomo dal male.
L’esperienza vissuta su entrambi i monti è personale e non di massa. Abramo è solo con suo figlio e i discepoli sono un gruppetto ristretto scelto nel collegio apostolico. Dio si comunica così, attraverso esperienze personalissime e uniche. Chi lo ha incontrato davvero lo ha sentito rivolto a sé personalmente e dentro alla propria storia particolare.
C’è un aspetto che mi colpisce. Dopo l’evento della trasfigurazione e dopo aver sentito la voce del Padre “improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro” e il gruppetto deve scendere dal monte, nella solita quotidianità, in mezzo alla gente, con quel “solito” Gesù che molti non riconosceranno.
Sono questi attimi di esperienza profonda e personalissima di Dio che dobbiamo portare con noi e testimoniare agli altri, non con le parole -che sminuirebbero quanto abbiamo vissuto- ma con la luce tersa e limpida delle nostre azioni e delle nostre scelte.

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