Nel Vangelo di questa domenica troviamo Gesù che si trova di fronte a un lebbroso (Mc 1,40-45). La lebbra era considerata una malattia provocata dal castigo di Dio per i propri peccati. Infatti la conseguenza di questa malattia è proprio la deturpazione del volto e delle sembianze umane. Allontanato da tutti e costretto a vivere nei boschi e nelle caverne, il lebbroso era esiliato e considerato abbandonato persino da Dio. Non poteva suscitare compassione e non aveva nemmeno speranze di poter riacquistare dignità al cospetto di Dio.
Di fronte a Gesù, però, accade qualcosa. Quel lebbroso trasgredisce le regole di purità e si getta ai piedi di Gesù con un’espressione provocatoria “Se tu vuoi puoi purificarmi”, quasi a dire: “Se vuoi cambiare questi schemi religiosi allora puoi rendermi puro, nonostante la mia condizione”.
Il testo di Marco dice che Gesù si sente mosso a compassione e lo guarisce. In realtà, però, secondo i biblisti sembra che il testo originario di Marco abbia usato il verbo greco esplankemisteis (avere compassione) in alcuni codici e il verbo orghisteis, che esprime un’indignazione, in altri.
È più facile pensare a un Gesù che si commuove, certo. Ma anche l’indignazione ci dice molto.
Cristo-Dio si arrabbia per la deturpazione che la religiosità mosaica aveva compiuto nei confronti dell’immagine di Dio. Se non sei puro non sei degno di lui, se hai una malattia questa è da considerarsi un castigo di Dio per i tuoi peccati.
Invece Cristo ci offre una nuova immagine di Dio. Egli desidera essere in comunione con noi, vuole attirarci a lui e non ci chiede di essere ineccepibili per potersi relazionare con lui. Dio non scarta nessuno. Ecco perché, una volta guarito, il lebbroso è mandato piuttosto bruscamente dai sacerdoti del tempio per mostrare loro che Dio è molto più grande della loro interpretazione.
E noi, quale immagine abbiamo di Dio?

Suor Nicoletta del Cuore di Cristo
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